Il patrimonio di tutti

A inizio anno è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la nuova riforma voluta dal MiBACT che, tra le novità in materia digitale e di organizzazione museale, reintroduce alcune norme in merito alla gestione del patrimonio culturale, artistico e paesaggistico.
Per chiarire obblighi e competenze del progettista che si occupa di interventi sui beni culturali, abbiamo fatto alcune domande a Lisa Accurti, funzionario responsabile Area Educazione e Ricerca della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino.
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A quale istituto spettano le competenze in materia di tutela architettonica, paesaggistica, storico-artistica, archeologica?

La tutela sul patrimonio culturale e paesaggistico in Italia è competenza attribuita al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, sia centralmente sia per il tramite i suoi organi periferici sul territorio, in particolare le Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. Ciò avviene talvolta anche in concorso con amministrazioni pubbliche ed enti locali e con soggetti privati, principalmente senza fini di lucro.
Ai fini di agevolare l’utenza nell’ambito dei procedimenti amministrativi e degli adempimenti previsti dalle norme, recenti riorganizzazioni ministeriali (la cosiddetta riforma Franceschini) hanno ricondotto le competenze in materia di tutela architettonica, paesaggistica, storico-artistica, archeologica sul medesimo territorio – precedentemente attribuite a diverse Soprintendenze – a un unico Istituto periferico “olistico” afferente al suddetto territorio.

Quali sono i principi metodologici che un professionista dovrebbe seguire per intervenire sul patrimonio architettonico? E sul patrimonio archeologico e nelle aree a tutela paesaggistica?

Non esiste un manuale di intervento che indichi univocamente le tappe da seguire per intervenire correttamente sul patrimonio culturale.
Per garantire un’adeguata tutela del bene culturale – indipendentemente da quale sia la sua tipologia (architettonico, storico artistico, demo-etnoantropologico, archivistico/documentario, archeologico, paesaggistico, fino al patrimonio immateriale) – sono necessarie l’accurata conoscenza, la lettura e la corretta interpretazione e comprensione dei suoi caratteri identitari di valore, ossia delle qualità che lo connotano in modo unico e peculiare, conferendovi una significativa capacità testimoniale nel documentare l’ambito storico/culturale che lo ha generato.
La salvaguardia di tali elementi dev’essere il fine ultimo dell’intervento, a prescindere dagli strumenti tecnico operativi adottati per operare tale salvaguardia (prevenzione, manutenzione, restauro, consolidamento, ecc.), e nella piena consapevolezza che mantenere i contenuti culturali connotanti garantirà la tutela dell’identità dei manufatti anche qualora vadano incontro alle inevitabili trasformazioni richieste (sia ai fini della conservazione stessa che ai fini dell’attualizzazione funzionale).
I parametri che risulta doveroso rispettare nell’intervento sono da tempo stabiliti nell’ambito disciplinare del Restauro:

  • la distinguibilità
  • la massima reversibilità possibile
  • la compatibilità (che può declinarsi come compatibilità fisica, o come coerenza formale o sostanziale o concettuale, o come armonizzazione, ecc.)
  • il principio del minimo intervento con la massima efficacia
  • la prevenzione
  • l’incremento invece che la sottrazione di qualità
  • la valorizzazione intesa come maggiore godibilità dei contenuti culturali del bene.

Come cambia l’approccio nel caso di interventi temporanei?

Un intervento a carattere temporaneo è di per sé spesso reversibile e come tale tendenzialmente valutato meno incisivo o dannoso in rapporto alla tutela del patrimonio culturale; tuttavia, non deve cambiare il criterio di valutazione sopra richiamato: occorre valutare l’impatto generato sulle qualità del bene (e sulla sua godibilità da parte dell’utenza), innanzitutto in termini di reversibilità. Gli effetti di un intervento temporaneo potrebbero essere infatti non solo definitivi, ma anche irreversibili: si pensi all’allestimento di un concerto o anche a riprese cinematografiche in un bene monumentale che danneggiano fisicamente i manufatti, o a un impianto di illuminazione idoneo a una mostra temporanea, che però danneggia altri manufatti presenti permanentemente negli stessi ambienti espositivi, ecc.
Inoltre, va considerato che, anche qualora gli effetti dell’intervento temporaneo siano reversibili, la penalizzazione delle qualità – non solo materiale – del bene culturale indotta durante l’intervento (per esempio la visibilità,  l’equilibrio complessivo delle sue parti, ecc.) non solo è lesiva del bene stesso, ma si traduce in danno al godimento del bene nelle sue condizioni ottimali da parte dell’utenza, che potrebbe non coglierne più il significato culturale.
E, va ricordato, il danno fruitivo a carico di un bene culturale è inoltre sempre lesivo di interessi collettivi.

Puoi approfondire durante le quattro lezioni del corso Soprintendenza: fondamenti, principi e procedure in partenza lunedì 4 maggio.

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