La parola agli architetti 09/2020

L’abitudine dei nostri genitori e dei nostri nonni a stoccare provviste in stanze preposte – le dispense e i ripostigli –, sembrava superata da tempo. Prima del Covid abbiamo infatti dimostrato di prediligere linee più minimaliste e spazi più aperti per i nostri interni, con il minor numero di suddivisioni possibile. Dopo l’esperienza del lockdown, però, potremmo avvertire il bisogno di più spazio per le nostre spese decisamente meno frequenti e più abbondanti. Ecco la riflessione di Marco Milanese del FOCUS GROUP OAT INTERIORS per la nostra rubrica “Architettiamo la città per la fase due”.

 

Autonomia e dispensa

La necessità di razionalizzare gli spostamenti ha influito sul modo di fare la spesa. Spesso le materie prime vengono preferite ai prodotti finiti. Con meno sessioni di spesa, aumentano le quantità.
Nasce, quindi, l’esigenza di ripensare agli spazi della casa riservati alla produzione e alla conservazione dei cibi. L’uso intensivo della cucina richiede spazio e funzionalità aumentate. Le dispense, semplici mobili o locali attrezzati, ma anche frigoriferi e freezer di grandi dimensioni tornano ad essere protagonisti. E con essi nasce la necessità di nuove zone per riporre maggiori quantità di prodotti per l’igiene della casa e personale.

Nella cultura del dopoguerra l’idea di associare ai tradizionali spazi della casa dispense e ripostigli era diventata una regola che tutti, anche i non addetti ai lavori, avevano inculcata nella mente. Oggi, con la vera e propria moda delle zone giorno pensate come “openspace” che hanno assunto il ruolo di baluardo dell’architettura contemporanea, dove solo i bagni con antibagno e le stanze da letto vengono separate dal resto, sembra che il concetto di spazio per ricoverare il sovrappiù – le provviste, insomma – sia diventato, ad un tratto, obsoleto. Anche in casa avevamo preferito la spesa “just in time” come è successo per la produzione industriale che non fa più “magazzino” per adeguarsi al quadro economico in essere.

Con le uscite contingentate, però, e il timore di venir contagiati, ecco che le nostre case si sono riempite di “roba” che non riesce ad essere ricoverata. Frutto di fugaci scorrerie al supermercato per accaparrarsi di tutto! Così stanze intere o settori di corridoio sono diventati luogo per lo stoccaggio delle provviste. Ed è perciò che entrano in gioco i frigoriferi, che in virtù di una linearità progettuale di tutto l’ambiente cucina, sono spesso incassati, integrati e dissimulati dietro anonime ante con volumi interni striminziti. Nel dopoguerra, molti italiani che abitavano in appartamento avevano abbracciato la filosofia del freezer in cantina: alla scomodità di dover “scendere giù” per recuperare ciò che serviva, i freezer offrivano capienze record che permettevano di stivare qualsiasi prodotto e di conservarlo anche per mesi.

E oggi?

Oggi non ci sono più! È l’apoteosi del minimalismo, della pulizia formale! Ed è così che il solo vedere disordine in casa porta, chi ci vive, a sentirsi frustrato e a percepire la situazione come un’anomalia. E allora la minor libertà di spostamento e l’inquietudine della pandemia si identificano proprio lì, nella visione delle “cose” accatastate!

Come fare?

Ponderando gli spazi in ogni progetto! Ripostigli, freezer, guardaroba e mobiletti tornino protagonisti! E allora ricompaiano le dispense, ampie, strutturate e in grado di accogliere al loro interno tutti gli ingredienti necessari per la sopravvivenza (anche) urbana! E l’idea di essenzialità di uno spazio scompaia a favore di quella complessità celata, che solo un progetto accorto è in grado di mostrare.

Marco Milanese, architetto, componente del focus group OAT Interiors

 

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