La parola agli architetti 02/2020

La pandemia ha fatto emergere esigenze e ambizioni di ri-progettazione degli spazi, dalle abitazioni private agli spazi lavorativi. Tuttavia, le strutture che hanno dimostrato la maggiore urgenza di intervento sono senza dubbio quelle ospedaliere. I professionisti del focus group OAT Conservazione, riuso e restauro hanno analizzato la questione e le sue criticità, fornendo alcune prospettive di azione.

In moltissime città si è fatto fronte alla necessità di posti letto e di spazi per la terapia intensiva costruendo strutture apposite o adeguando grandi edifici già esistenti, in modo che potessero ospitare macchinari, pazienti e personale: anche Torino si è dotato di un ospedale di emergenza, trasformando le OGR in presidio Covid. Secondo Luigi Valdemarin – vicecoordinatore del focus group OAT Conservazione, Riuso e Restauro – si tratta tuttavia  di una soluzione estemporanea da utilizzare eventualmente in una fase di conclamata emergenza, ma che è meglio non proporre come modello da replicare.

“Pensare al riuso di un edificio che non è nato per soddisfare esigenze sanitarie per farne un Covid-hospital deve essere veramente l’ultima chance a disposizione”, anche perché – aggiunge Valdemarin – si porta dietro problematiche non indifferenti, prima fra tutte la condivisione dell’aria di ricambio per tutta l’area sanitaria.
Allo stesso modo, non sembrano plausibili le soluzioni cosiddette “modulari”: si tratta di soluzioni di ripiego, non conciliabili con un sistema sanitario sviluppato.

Quello che invece serve secondo Valdemarin è “una risposta di sistema, un ripensamento del concetto che ha dominato le strategie della sanità negli ultimi 15/20 anni”. Insomma, alla luce di quanto accaduto, per il vicecoordinatore bisognerebbe chiedersi se non sia necessario rigettare completamente il modello che ha portato all’elaborazione del progetto del Parco della Salute, rianalizzando il quadro esigenziale nella consapevolezza che potrebbe ripresentarsi un’epidemia come quella che stiamo vivendo.

“Le città, almeno le grandi, in futuro dovranno essere attrezzate per far fronte a possibili nuove pandemie o altre calamità, per cui dovranno essere dotate di strutture flessibili, utilizzabili per ogni evenienza” osserva Angelica Ciocchetti, componente del focus group.
Risulta necessario, dunque, rivedere il piano di dismissione degli ospedali periferici e pensare a edifici adattabili, dotati di una grande capienza e di aree critiche in grado di fronteggiare le emergenze, senza il rischio di collasso del sistema.
“Questo significa anche potenziare l’assistenza territoriale – conclude Valdemarin – riproporre i country hospital (ospedali dove i pazienti sono assistiti dai propri medici di base), ripensare a  nuovi modelli di assistenza domiciliare”.

A tal fine sarebbe necessario avere un confronto con il mondo dei professionisti sanitari; inoltre – secondo Ciocchetti – “il dibattito a livello parlamentare sul MES mette in luce la possibilità non solo di pagare le spese sostenute per far fronte alla pandemia, ma anche (forse) di attivare un programma di riorganizzazione e di razionalizzazione dei comparti della sanità, individuando anche queste esigenze”.

I contributi degli architetti per il manifesto Architettiamo la città per la fase due continuano anche in diretta facebook: riguarda l’ultima puntata andata in onda giovedì 28 maggio!

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