Architetture minime nel paesaggio: il nuovo Consiglio incontra il territorio

L’Ordine degli Architetti della Provincia di Torino promuove due incontri gemelli dedicati agli iscritti nei territori del Pinerolese e Canavese, con l’obiettivo di favorire un dialogo diretto tra professionisti e Consiglio in tutta la provincia. Nel corso dei due appuntamenti verranno presentati il nuovo Consiglio dell’Ordine, la struttura degli uffici e i servizi per gli iscritti, insieme alle iniziative della Fondazione.
Alla fine degli eventi è previsto un aperitivo, pensato come un momento informale di per approfondire i temi emersi durante gli incontri, condividere esperienze professionali, costruire nuove relazioni e rafforzare il senso di comunità all’interno della professione.

  • 19 novembre 2025, dalle 17.30. Il nuovo Consiglio OAT incontra gli iscritti del Pinerolese. Lectio di Enrico Scaramellini. CFIQ – Consorzio per la Formazione, l’Innovazione e la Qualità (Via Principe Amedeo 42, Frossasco). Iscriviti qui!
  • 20 novembre 2025, dalle 17.30. Il nuovo Consiglio OAT incontra gli iscritti del Canavese. Lectio di Enrico Scaramellini. Aula magna, Polo di Infermieristica (Via Montenavale, Ivrea). Iscriviti qui!

Durante l’evento anche la lectio dell’arch. Enrico Scaramellini – Racconti di architetture (minime) nel paesaggio, che illustrerà il lavoro dello studio ES-arch enricoscaramelliniarchitetto, attivo principalmente nel territorio alpino e in particolare in Valchiavenna (SO).

L’intervento offrirà una riflessione sul rapporto tra architettura e paesaggio, mettendo in luce come la sinergia tra attività accademica e professionale alimenti una ricerca continua sul senso dell’abitare e sulla qualità del costruito.

Nel solco di una riflessione più ampia sull’architettura di montagna, l’incontro offrirà anche l’occasione per approfondire alcune delle questioni oggi più urgenti sul paesaggio e sui territori alpini, come la ricerca di un equilibrio tra presenza umana e fragilità del paesaggio. Il dibattito contemporaneo mette infatti in luce come le architetture “minime” – essenziali, leggere, pensate per integrarsi e non per imporsi – possano diventare un modello per una fruizione più consapevole della montagna.

La bellezza, intesa non come gesto estetico fine a sé stesso ma come forma di rispetto, diventa così una possibile strategia di tutela: costruire in alta quota significa confrontarsi con l’identità dei materiali locali, con le esigenze di autosufficienza energetica e con un inserimento paesaggistico capace di ridurre l’impatto visivo. Temi che dialogano in modo naturale con il lavoro di Enrico Scaramellini, da sempre attento alla relazione tra architettura e contesto e a un abitare che nasce dal paesaggio stesso. Ce lo racconta in un’intervista di approfondimento sui temi che verranno affrontati nella lectio del 19 e 20 novembre.

«Secondo lei, quali elementi del costruire in montagna possono creare una connessione più profonda tra l’abitante e l’ambiente circostante, contribuendo al benessere dell’abitare un luogo?»

«Il progetto in ambienti fragili credo debba necessariamente costruire delle relazioni con il contesto; con la consapevolezza che ogni progetto è, di fatto, una trasformazione del paesaggio. Far parte di un ambiente, sentirsi parte attiva di un paesaggio è sicuramente un requisito fondamentale. Come si attua questa ricerca? Credo da una lettura approfondita dei luoghi, dei materiali, della stagionalità; il progetto comincia guardando, osservando. Il progetto deve “trasformare “il  luogo; trovare nuovi equilibri. Un altro campo di ricerca riguarda il rapporto fra interno/esterno e attraverso quali modalità si applica. La stagionalità e le variabili del clima permettono di definire dei luoghi di osservazione protetti. La definizione del  grado di apertura dell’interno verso l’esterno è sicuramente un elemento fondante.

Credo poi che vi sia la necessità di trovare la giusta misura del progetto. A volte anche l’intervento minimo innesca grandi trasformazioni. E’ importante capire il grado di possibile trasformazione dei luoghi. Infine, molte volte il termine tradizione viene trasfigurato, travisato; non solo dai committenti ma anche dalle commissioni locali. Le nostre montagne sono il frutto di azioni sovrapposte nel tempo; credo sia quindi necessario avere, di volta in volta, una capacità di lettura della realtà dei luoghi, senza preconcetti.»

«L’uso di materiali tradizionali o locali declinati in chiave contemporanea è spesso centrale nei suoi progetti. Come pensa che questa scelta possa influire sull’esperienza emotiva di chi vive lo spazio?»

«I materiali hanno una natura e diversi aspetti. Nel progetto ci piace indagare le potenzialità materiche di diversi materiali. Ci interessa l’aspetto fenomenologico del progetto. L’architettura è necessariamente un’esperienza che attiva diversi recettori. Immaginare l’esperienza fisica del futuro progetto è uno dei “metodi” di cui ci avvalliamo. Sembra una banalità, ma credo sia un esercizio fondamentale nella concezione del progetto. E qui si innestano tanti temi che di volta in volta informano il progetto in maniera  differente. Ad esempio, l’esperienza tattile diventa luogo di ricerca; capire come indurre chi vive lo spazio ad “accarezzare” un edificio apre innumerevoli possibilità.

Un altro aspetto importante è legato all’invecchiamento dei materiali. Comprenderne le possibilità , rende più semplice la scelta. Sicuramente le letture degli scritti di Juhani Pallasmaa mi hanno aiutato a capire meglio alcuni aspetti emotivi legati ai materiali.

In conclusione, un piccolo pensiero. Il progetto è sempre più minacciato da un’omologazione materica (ma non solo) ; ciò richiede una capacità notevole di resistenza per non essere sopraffatti. Per cui lavorare con gli artigiani permette di avere un maggior controllo del progetto che altrimenti rischia di essere sempre più assemblamento di elementi. Poi, esistono comunque poi nuovi materiali che possono e devono essere introdotti nel progetto.»

«Nei suoi progetti in contesto alpino, come bilancia la necessità di funzionalità e comfort abitativo con il rispetto e l’inserimento armonico nel paesaggio montano?»

«Come già accennato precedentemente,  l’inserimento nel paesaggio passa attraverso una ricerca di equilibrio. Questo sia nel caso di un nuovo edificio che nel rapporto con l’esistente; è come se si cercasse il DNA di luoghi ed edifici e dalla sua lettura vi siano poi nuove possibilità progettuali. Gli edifici in montagna sono sempre stati estremamente funzionali. In montagna esistono due origini: da una parte gli edifici dell’agricoltura, sobri, frugali ed efficienti; dall’altra, con l’avvento del turismo , nuove necessità di comfort indotte dalle abitudini dei nuovi abitanti. I materiali ci aiutano a realizzare progetti con una determinata atmosfera. Il comfort abitativo passa attraverso la definizione di una serie di spazialità che compongono il palinsesto entro cui si muove la vita; ci interessa come questi spazi possano permettere usi differenti, accogliere diversi elementi di arredo, ecc.»

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